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RECUPERO & CONSERVAZIONE - II parte

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MOSTAR - IL PROGETTO DI UN PONTE PIETRA PER PIETRA -  II parte

di Andrea Vignoli e Manfredo Romeo

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Il progetto denominato "Rehabilitation of the Old Bridge in Mostar – Pilot Cultural Heritage Project", voluto da Unesco, dal World Monuments Fund e dall’Aga Khan Trust for Culture, gestito dalla World Bank, finanziato da molti paesi donatori, è in realtà un’operazione dalle molteplici valenze.

Il progetto prevede il ripristino del nucleo storico fortificato del Ponte Vecchio di Mostar, importante punto di riferimento per la Bosnia, simbolo di riconciliazione dopo la guerra civile, ma soprattutto patrimonio artistico dell’Umanità. Tale intervento si configura però anche come un’iniziativa concreta per favorire la ripresa economica, culturale, sociale e turistica in aree depresse, contrapponendo alle mal sopite rivalità locali un modello di travolgente cooperazione internazionale, nella realizzazione di un’impresa che si colloca fra le più complesse e delicate della storia degli interventi sul patrimonio storico artistico.

La collaborazione fra enti, società, università e professionisti di vari paesi è stata effettiva e si è resa comunque possibile solo grazie ai recenti strumenti di lavoro e comunicazione, come la posta elettronica, il disegno digitale, la crescente diffusione della lingua inglese, l’unificazione delle unità di misura, nonché l’introduzione di normative europee sulle costruzioni e sulla sicurezza.

Così i bosniaci, l’Unesco e la Banca Mondiale hanno avuto il controllo su tutte le fasi di lavoro attraverso organi politici e tecnici, i francesi hanno fornito assistenza tecnica per la gestione degli appalti, turchi e bosniaci hanno realizzato le indagini geognostiche, i tedeschi hanno curato prove di laboratorio e indagini sui materiali, gli italiani hanno realizzato rilievi e progetti esecutivi, i bosniaci hanno estratto e tagliato le pietre, imprese turche stanno realizzando i lavori e, sempre i locali, si stanno occupando della direzione del cantiere. È un modo di lavorare diverso, stimolante, ma non privo di difficoltà di coordinamento e continuità: aspetti che sono essenziali per la buona riuscita di un’opera e che non possono essere sostituiti nemmeno da un esubero di dettagliate specifiche tecniche.

1.Una vista estremamente suggestiva del ponte di Mostar prima della sua distruzione - foto Ciril Ciro Raic - Mostar

2-3. Ciò che rimane del ponte dopo il bombardamento, rispettivamente il lato est ed il lato ovest delle spalle.

 


Una testimonianza di raffinata "ingegneria"


La struttura del ponte di Mostar è stata determinata, in parte, attraverso lo studio dei materiali recuperati dal fiume, che hanno consentito la comprensione del complesso sistema di ancoraggio delle pietre con staffe e perni metallici, (cfr. articolo nel numero precedente). Ma non sarebbe stato possibile comprendere l’apparato strutturale complessivo del ponte se non fossero rimaste in opera delle porzioni del monumento in prossimità delle spalle. Queste, infatti, tagliate quasi secondo un piano al momento del collasso, hanno lasciato prova inequivocabile della esatta configurazione di due sezioni trasversali della struttura.

Il principale elemento strutturale del ponte era l’arco portante: con una luce di quasi 29 metri ed una larghezza di circa 4 metri, era composto da conci con una notevole variabilità dimensionale ma che mediamente misuravano 80 per 40 centimetri con uno sviluppo di un metro.

Immediatamente sopra l’estradosso dell’arco del ponte insistevano, perimetralmente, i paramenti in blocchi di muratura squadrata, mentre, internamente, lungo l’asse longitudinale, vi era un cordolo di irrigidimento realizzato in muratura con orditura irregolare. Sopra le teste di questi setti murari vi era una copertura in lastre di pietra che sosteneva tutti i sottili strati sovrastanti: sottofondo, malta e pavimentazione.

L’apparecchiatura muraria, composta da tre setti paralleli, individuava, dalla chiave alle reni, una struttura "scatolare" che lasciava delle intercapedini libere ottenendo così un duplice risultato fondamentale per l’equilibrio strutturale: una diminuzione dei carichi propri sull’arco portante ed allo stesso tempo una sufficiente rigidità dell’intero complesso strutturale del ponte.

Questa distribuzione ottimale dei pesi propri era completata da materiale di riempimento posto dalle reni alle imposte che, per un arco a sesto ribassato, risulta stabilizzante.

Le scelte strutturali denotano grande cura e meticolosità, ma soprattutto conoscenza di tutti quegli accorgimenti necessari per una distribuzione dei carichi che fosse compatibile con la geometria dell’arco e finalizzata al raggiungimento dell’equilibrio strutturale.

Oggi siamo portati a rimanere sorpresi di come, quasi mezzo millennio fa, senza l’ausilio delle attuali conoscenze della Scienza delle costruzioni e senza nemmeno la consapevolezza del concetto di forza, fosse possibile concepire strutture così efficienti e complessi sistemi di ancoraggio che risultano lavorare prevalentemente a taglio, ovvero a forze orizzontali, anche di elevata intensità, che si manifestano solo in caso di sisma o di eccezionali spinte idrodinamiche.

Ci si può chiedere quanto l’architetto ottomano Hayrüddin fosse consapevole del reale contributo strutturale delle staffature metalliche e di quali conoscenze scientifiche disponesse per poterlo valutare. È certo, tuttavia, che i molti accorgimenti strutturali applicati, come anche la realizzazione di cavità per non gravare sull’arco portante, denotano una profonda conoscenza dei meccanismi di collasso della struttura ad arco in muratura e confermano come gli antichi avessero acquisito conoscenze molto avanzate attraverso osservazioni empiriche, causa-effetto, prescindendo così dal calcolo strutturale.

4. Sezione trasversale del ponte alle reni dell’arco portante.

5. Viste assonometriche del modello agli elementi finiti: in colorazione differente si evidenziano le parti in cui è stata discretizzata la struttura ai fini del calcolo. In queste rappresentazioni sono state omesse le spalle.

6. Il Modello sottoposto al peso proprio. Le colorazioni dal rosso al blu rappresentano gli sforzi di compressione. Il blu indica la massima compressione prevista per questa combinazione: circa 7MPa.

7. La scoperta di un vano di notevoli dimensioni all’interno dalla spalla est ha richiesto attente verifiche del progetto strutturale: si temeva che questo vuoto potesse essere intercettato dalle forze di scarico del ponte.

 


Il progetto strutturale


La volontà di ricostruire il ponte di Mostar secondo un modello identico nelle forme e nei materiali, (cfr. articolo nel numero precedente), ha imposto al progetto strutturale, come obbiettivo primario, di verificare lo stato di sollecitazione ed i margini di sicurezza di una struttura già dimensionata, (poiché meticolosamente definita nella sua geometria), e dai materiali assegnati, (poiché identici a quelli del ponte distrutto).

A tale scopo è stato creato un modello agli elementi finiti estremamente dettagliato nel quale sono stati distinti tutti i diversi elementi che compongono la struttura includendo anche i principali dispositivi metallici di ancoraggio. Il modello numerico è stato poi sottoposto a molteplici condizioni di carico fra cui: carichi propri e permanenti, carichi accidentali distribuiti in modo simmetrico ed asimmetrico, carichi dovuti a variazioni termiche fino a ±15°C, carichi dovuti a spinte idrodinamiche di flusso fino a 2500 m3/s ed infine carichi dovuti a forzanti sismiche.

Tali calcoli hanno fornito una dettagliata conoscenza della distribuzione degli sforzi oltre che i punti maggiormente sollecitati della struttura. È stato inoltre possibile determinare la diffusione dei carichi nelle spalle, parametro fondamentale per le opere di consolidamento delle strutture ancora esistenti.

Tuttavia i risultati conseguiti hanno messo in evidenza che, con combinazioni di carico particolarmente sfavorevoli, i margini di sicurezza della normativa europea, (proposti dalla PCU TA – Project Coordination Unit Technical Assistance), potevano non essere verificati.

A questi risultati parziali si sono aggiunti notevoli e ben più gravi problemi relativamente alla resistenza della pietra calcarea di nuova estrazione: essa, pur provenendo dal medesimo sito, risultava avere una resistenza a compressione significativamente inferiore a quella delle pietre antiche per ragioni legate alla naturale sedimentazione: circa 17-19 MPa (o N/mm2).

Al progetto strutturale è stato dunque richiesto di fornire i requisiti minimi di accettabilità delle pietre dell’arco portante, tenendo conto che il monumento doveva in ogni modo essere composto da pietre della medesima provenienza, (pietra calcarea locale detta "tenelija"). Dal momento che la resistenza di una muratura è data dalla resistenza della pietra, della malta e dai rispettivi spessori, è subito apparso evidente che l’unico parametro che poteva essere sottoposto a variazioni senza alterare l’aspetto architettonico del monumento era quello di intervenire sulla resistenza della malta. Così sono state predisposte delle tabelle numeriche che relazionavano i parametri interessati avvalendosi delle formule elaborate dal Tassios (1985): fra le pochissime in letteratura scientifica applicabili in casi come quello dei conci del ponte, dove si avevano giunti di appena 4-8 millimetri alternati a blocchi di pietra di ben 30-50 centimetri.

La scelta di una malta con resistenza caratteristica di circa 5MPa ha imposto l’abbandono delle prime ipotesi che prevedevano di utilizzare una "malta storica" identica a quella impiegata dagli Ottomani.

 


IL CANTIERE

L'impianto generale


Si giunge in prossimità del sito del ponte di Mostar solo attraverso strette strade pedonali con selciato in ciottoli di fiume: l’intero complesso monumentale del ponte e delle torri è, di fatto, arroccato e scarsamente accessibile a qualsiasi mezzo da costruzione. Il fiume sottostante, la Neretva, scorre normalmente circa 15 metri più in basso rispetto alle quote di sbarco delle spalle: si tratta, inoltre, di un corso d’acqua a regime torrentizio, presenta forti correnti e notevoli escursioni di livello che possono aver luogo anche in poche ore.

A quanto sopra si aggiunge una ridottissima accessibilità dal lato nord, caratterizzato da rive scoscese e da una forte densità di costruzioni antiche, oltre alla presenza, (a soli 12 metri), della passerella pedonale temporanea.

Con queste premesse è stato richiesto al progetto per la ricostruzione di proporre una possibile configurazione del cantiere che, pur non costituendo vincolo per l’impresa, desse prova di fattibilità.

Per i motivi sopra esposti è stata proposta un’organizzazione del cantiere dove l’approvvigionamento di materiali e mezzi venisse da sud, (circa 100 metri più a valle), ricavando una rampa di accesso carrabile nell’unico punto dove era possibile raggiungere la riva del fiume con un dislivello contenuto. Lungo la riva è stata poi prevista una serie di piattaforme sopraelevate che superassero la Radobolija, affluente della Neretva, fino a giungere ai piedi della spalla ovest del ponte.

8. Una fase molto importante del cantiere: la centina è quasi terminata (giugno 2003 circa). Copyright: Rifat Kurtagic; MOST-MOSTOVI-MOST, Vienna; PCU, Mostar.

9. Uno schema che illustra il piano di assetto del cantiere.

10. La proposta alternativa per la realizzazione di un carro-ponte in sostituzione della gru.

11. Il cantiere del Ponte Pietra – Verona – durante i lavori di ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale.

12. Le prime fasi del cantiere a Mostar, vista verso sud-ovest: gli approvvigionamenti seguono le vie proposte nel piano di cantiere.

13. La centina ormai completata e, sullo sfondo, l’imponente gru.

14. L’imponente struttura temporanea di sostegno della centina sottovista.

 


 I sistemi di sollevamento


Per quanto concerne i sistemi di sollevamento, questi, oltre a dover coprire l’intera luce fra le due spalle, dovevano essere molto precisi e rapidi per garantire un posizionamento corretto senza rallentare il lavoro. Pur essendo stata individuata la sede per il posizionamento della gru, ci si rendeva conto che questa avrebbe dovuto avere un braccio di circa 60 metri e, a causa delle oscillazioni del carico, non sarebbe stata adatta per un posizionamento di precisione.

Il progetto ha quindi proposto, in alternativa, la costruzione di una struttura reticolare formata da quattro montanti, (ai lati delle spalle), e da travi sormontate da un carroponte con corsa principale ortogonale al corso del fiume. Da documenti di cantiere relativi alla ricostruzione del ponte Pietra di Verona risultava, infatti, che tale sistema di sollevamento fosse stato determinate ed avesse agevolato i lavori al punto da terminarli con grande anticipo rispetto alle previsioni iniziali.

L’impresa turca ER-BU ha scelto inizialmente l’installazione di una gru, ma successivamente ha sfruttato le travi reticolari della centina come binario per un piccolo carroponte meccanico su ruote che ha dichiarato essere indispensabile per la posa in opera dei conci.

 


La centina


Uno degli aspetti più delicati del cantiere era la realizzazione dei ponteggi e della centina che, per motivi contrattuali e per una facile individuazione delle responsabilità, sono stati affidati all’impresa. Tuttavia al progetto architettonico e strutturale è stata richiesta la formulazione dei requisiti che tali opere dovevano rispettare per non pregiudicare la corretta realizzazione dei lavori.

Si temeva che la centina potesse subire consistenti assestamenti legati a numerose variabili di difficile previsione e valutazione fra cui: assestamenti fondali, cedimenti dovuti ai notevoli carichi dei conci, e variazioni termiche della centina stessa. È stato pertanto stabilito che la centina dovesse essere sufficientemente rigida per subire degli assestamenti limitati ed omotetici non superiori ai 5mm, essa doveva inoltre avere un sistema di martinetti idraulici per il recupero differenziale di eventuali cedimenti localizzati, ed una rete di mire per la verifica topografica della geometria in corso d’opera.

Vista l’irruenza della Neretva ed il regime torrentizio, si richiedeva che la centina rimanesse in opera solo nelle stagioni delle acque magre e che fosse limitato, quanto più possibile, l’ingombro sul fiume: in caso di una forte piena, il crollo della centina e del ponte in costruzione sarebbe stato inevitabile.

L’impresa, che ha deciso di condurre la preparazione delle pietre contestualmente alla fase di assemblaggio, ha allungato notevolmente il tempo di permanenza della centina rispetto alle prescrizioni progettuali e, per questo, ha dovuto realizzare imponenti opere temporanee che consentissero un ingombro minimo della centina sul fiume oltre a concordare strategie di emergenza con la diga a monte.

 


Il taglio delle pietre


Fra le lavorazioni più complesse del cantiere vi era il taglio finale dei conci dell’arco portante. Il progetto esecutivo, attraverso un software appositamente realizzato, aveva fornito gli esecutivi per la cava nei quali erano indicate le dimensioni del parallelepipedo minimo che potesse contenere il volume del concio finale con una tolleranza non inferiore ai 3 centimetri, (questo rispettando anche l’orientamento naturale di sedimentazione della pietra che doveva essere sempre ortogonale alla curva delle pressioni per offrire maggiore resistenza e durabilità). Ma i conci dell’arco avevano geometrie lievemente irregolari ed erano definiti negli esecutivi di taglio tramite le coordinate dei vertici e tramite le sole quote necessarie per un totale di circa 45.000 dati. Per poter tagliare i conci con la geometria richiesta è stato proposto, ed in gran parte applicato in cantiere, un procedimento semplificato che prevedeva il taglio di tutti i conci di uno stesso filare, ponendoli su supporti che simulassero la curvatura dell’arco, con l’ausilio di sagome bidimensionali riprodotte al vero.

Ogni lavorazione, e soprattutto ogni trasporto, ha richiesto dei controlli ultrasonici delle pietre per verificarne l’integrità. L’impresa ha dovuto movimentare tutti i conci con grande cura poiché la disponibilità della materia prima con le caratteristiche richieste era veramente esigua: la frattura di un concio di grandi dimensioni avrebbe rappresentato un danno notevolissimo.

15. Disegni tecnici tratti dal manuale di istruzioni per il taglio delle pietre - report finale di progetto. Sono evidenziati i sistemi per la gestione progressiva delle irregolarità.

16. Un concio in preparazione per il trasporto con fasce e profilo di protezione.

17. La caldaia per la preparazione del piombo fuso.

18. Un operaio versa il piombo fuso negli alloggiamenti delle staffe della cornice inferiore.

19. Principali fasi di costruzione; fase1:smontaggio della pavimentazione con classificazione dei pezzi per successivo riassemblaggio e scavo; fase2:scavo nelle spalle con notevoli opere di sostegno delle parti libere e consolidamento; fase3:erezione della centina (rappresentazione simbolica); fase4:assemblaggio dei conci procedendo contemporaneamente da ambo i lati, evitando di caricare la struttura in maniera asimmetrica; fase5:assemblaggio progressivo di paramenti, cordolo di irrigidimento e riempimento fino alle reni; fase6:assemblaggio fino alla quota di sbarco e rilasciamento della centina per mandare in compressione l’arco portante ed evitare fratture delle strutture sovrastanti; fase7:completamento di sottofondo, pavimentazioni e rilascio totale della centina; fase8:assemblaggio dei parapetti, completamento finiture, pavimentazioni e smantellamento delle strutture temporanee.

20. Il Complesso Monumentale del ponte di Mostar - foto Ciril Ciro Raic - Mostar

21,22,23. Viste del cantiere.

 


Il getto del piombo


Per "saldare" gli ancoraggi metallici alle pietre secondo la tecnica antica, (cfr. articolo nel numero precedente), era necessario colare il piombo direttamente nei giunti o in apposite scanalature intagliate nei conci. Per questa particolare lavorazione sono state fornite per il cantiere numerose specifiche tecniche, partendo dall’avvertimento che i vapori di piombo sono fortemente tossici e che si prospettavano notevoli rischi per gli operai, utilizzando metallo fuso ad oltre 300 gradi centigradi sull’estradosso di un arco.

Nelle apposite canalette non vi doveva essere acqua, per evitare esplosioni, inoltre non vi dovevano essere frammenti di lavorazione né malta che le occludesse. Infine la composizione della lega e le temperature dovevano essere rispettate secondo le specifiche dei laboratori di sperimentazione (LGA – Germania).

L’impresa ha risposto in maniera ingegnosa ai requisiti posti: ha realizzato delle sagome di gomma che venivano inserite in opera nelle scanalature per proteggerle e che potevano essere rimosse all’occorrenza. Inoltre ha commissionato una caldaia speciale trasportabile per avere il piombo fuso in opera ed una macchina per asciugare le scanalature prima del getto del piombo, (che comunque doveva avvenire entro i 10 minuti per non risentire dell’umidità della pietra e della malta).

 


Le fasi di costruzione


Le fasi di costruzione, che non sempre vengono definite, sono state, in questo progetto, studiate ed approfondite, dal momento che, un’errata sequenza delle lavorazioni avrebbe anche potuto causare dissesti alla struttura prima che questa fosse terminata. Nelle fasi di costruzione, il progetto esecutivo si è volutamente limitato ad evidenziare le propedeuticità necessarie, omettendo di porre inutili vincoli all’impresa nell’organizzazione del cantiere.

 

Tra storia e leggenda

La prima notizia storica di Mostar, la città del ponte, risale al 1452: in un documento trovato a Dubrovnik viene definita come "do castelli al ponte de Neretua". Il ponte in questione era però un’esile costruzione di legno, sospesa su catene e si narra che questa oscillasse tanto da terrorizzare coloro che la attraversavano.

Ma già nel 1468 il piccolo presidio militare sul fiume era parte dell’Impero Ottomano: la guarnigione militare a difesa dello strategico attraversamento, oltre ad una ventina di case di civili, componevano la totalità del villaggio. Nel XVI secolo, sempre sotto il dominio Ottomano, l’insediamento conobbe un enorme fenomeno di espansione divenendo, in pochi anni, il più grande centro urbano dell’Erzegovina. Anche il ponte in legno, cuore della città, si rivelò ben presto inadeguato alle esigenze. Fu solo allora che il Sultano Suleiman il Magnifico, anche in seguito alle richieste della popolazione di Mostar, ordinò la costruzione di un ponte in muratura. Per questa impresa ai confini dell’impero venne designato Hayrüddin, architetto di corte succeduto a Ilyās Bey nel 1486 ed assistente di uno dei più grandi architetti del mondo islamico: Sinān Hoĝa al quale sono attribuite più di 330 opere di grande rilievo.

Al tempo, la costruzione di un ponte ad arco in muratura di quasi 30 metri di luce, non era impresa facile e la leggenda narra che Hayrüddin, qualora avesse fallito, avrebbe pagato con la pena capitale. Fu per questo motivo che, sempre secondo la leggenda, al momento in cui venne disarmata la centina, l’architetto scappò sulle montagne circostanti per tornare solo dopo essere stato informato dell’esito positivo.

Ciò che invece appartiene alla storia è che ci vollero quasi 10 anni di duri lavori prima che Mostar potesse finalmente avere un ponte costruito per durare in eterno. Correva l'anno 974 dell’egira, (circa il 1566 del nostro calendario). Oltre quattro secoli più tardi, nel 1993 durante la guerra civile, sono bastate poche ore per togliere alla città del ponte il suo simbolo.

Il ponte di Mostar in numeri

descrizione

unità

valore

luce del ponte sul versante nord

cm

2871

luce del ponte sul versante sud

cm

2862

altezza media sulle acque (variabile)

cm

1600-1800

larghezza dell’arco portante

cm

395

pendenza del camminamento

%

18-19%

numero di filari di conci nell’arco portante

111

numero di conci per filare (valore medio 3-4)

2-5

misure medie di un concio

cm

40×80×100

volume massimo di un concio (peso spec. 2500kg/m3)

m3

1.25

numero delle pietre del ponte (pavimentazione esclusa)

1088

numero di conci nell’arco

456

numero complessivo di staffe metalliche

1674

numero complessivo di perni metallici

810

volume dei conci dell’arco portante

m3

145

volume delle pietre del ponte (pavimentazione esclusa)

m3

356

 

Bibliografia

Rehabilitation of the Old Bridge in Mostar, Final Architectural and Structural Report, General Engineering

Rehabilitation of the Old Bridge in Mostar, Archaeological Research, Zeljko Peković, Ante Milošević

Historical Outline: Mostar and its Bridge, Private paper, Dr. Dr.h.c. Machiel Kiel, University of Utrecht, Holland

Stari Mostovi u Bosni i Hercegovini, Dzemal Celic e Mehmed Mujezinovic, Sarajevo, 1969

Mostar urban heritage map and rehabilitation plan of stari grad, AAVV, Pontecorboli, Firenze, 1997

Equilibrium of shell structures, J.Heyman, Clarendon, Oxford, 1977

Ponte Pietra a Verona, Piero Gazzola, Leo S.Olschki, Firenze, 1963

Mostar Urbicid, AAVV, Turistkomerc, Zagreb, 1992

Architettura Islamica, John D.Hoag, Electa, Venezia, 1998

 

 

Scheda di cantiere

Committente: Town of Mostar – BiH

Ente preposto: PCU Project Coordination Unit – Mr Rusmir Čišić - Mr Tihomir Rozić

Gestione dei fondi: World Bank – Washington – USA

Gestione degli appalti: PCU TA - Technical Assistance – ing. Gilles Pequeux

Paesi donatori: Italia, Turchia, Francia, Olanda, Croazia e Banca Europea

Supervisione scientifica: UNESCO e ICE – International Committee of Experts

Consulenza tecnica: consulente per la World Bank – arch. Carlo Blasi

Importo dei lavori: 16,5 milioni di dollari

Progetto architettonico esecutivo: General Engineering - Firenze - arch.Manfredo Romeo - tech.Giovanni Checcucci - arch.Francesco Gazzotti - arch.Alessio Talarico - arch.Paola Marrone - arch. Orazio Soleti - arch.Giuseppe De Giosa - arch.Franco Gualtieri - arch.Patrizio Simoncini - arch.Malika Mela - arch.Francesca Tartaglione - arch. Antonio De Siervi - arch.Sabrina Fungi - arch.Barbara Corazzi - arch.Bernardo Rossi - tech. Miki Shinohara - arch.Giovanni Anzani - ing. Niccolò Baldanzini - ing. Francesco Cenni - ing. Giancarlo Capanni - tech. Bruno Bonuccelli.

Progetto strutturale esecutivo: Dipartimento di Ingegneria Civile dell'Università di Firenze - prof.ing. Andrea .Vignoli - prof.ing. Paolo Spinelli - prof.ing.Franco Angotti - prof.ing. Fabio Selleri - ing. Maurizio Orlando - ing.Cristiano Casamaggi

Prove sui materiali: LGA – Germania – ing. Gregor Stolarski

Indagini geognostiche: Conex – Yeralti Aramacilik – Bosnia e Turchia – ing.Zoran Steger

Direzione lavori: Omega Engineering – Croazia – arch. Zeliko Pekovic

Impresa: ER-BU – Turchia – ing. Omer Biyikoglu

Tempi di esecuzione: 2002-2004

Tutti i dettagli del progetto e le specifiche tecniche sono disponibili su internet

Sito web del progetto: www.gen-eng.florence.it/starimost

Documentario su SuperQuark in onda il 16 settembre 2003 sulla RAI

 


CREDITS:

Il General Engineering WorkGroup ed il Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Firenze hanno realizzato il progetto esecutivo architettonico e strutturale per la ricostruzione del ponte vecchio di Mostar, in Bosnia Erzegovina.

di Andrea Vignoli

professore ordinario presso il Dipartimento di Ingegneria Civile dell'Università di Firenze e ingegnere libero professionista.

Manfredo Romeo

architetto, libero professionista del General Engineering WorkGroup

www.gen-eng.florence.it

www.gen-eng.florence.it/starimost

SOURCE:

Recupero & Conservazione - n° 53 - deLettera

www.delettera.it

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